Sono cresciuto all’ombra della chiesa dell’Addolorata. Sessant’anni fa il sagrato era invaso da ragazzini che giocavano con una palla di pezza e spesso qualche “sbrzzoca” ci rimetteva l’acconciatura. È quindi con grande gioia che vedo la mia amata Vergine Addolorata esaltata su un bel francobollo. La sua immagine girerà il mondo e raggiungerà i sammarchesi sparsi per i quattro venti; raggiungerà i loro figli, che ormai non hanno più dimestichezza con il fiero e armonioso dialetto dei padri, ma che forse hanno conservato, nascosto in qualche invisibile voluta del DNA, qualche frammento di queste rocce rosse di sangue e di fatica.
Il francobollo è per definizione il segno del viaggio, del rapporto con i lontani, dell’apertura degli orizzonti che, per la verità, qui a San Marco in Lamis avrebbero bisogno di essere allargati, ingabbiati come sono tra il triangolo di Monte Celano e la sagoma tondeggiante del Monte di Mezzo. La vox populi dei nostri meravigliosi viali pare non vada oltre.
Quando ero bambino molti contadini quando dovevano allontanarsi dai loro miseri campicelli e scendere in paese, dicevano Vado all’Italia. Non so se lo dicessero un po’ per celia, un po’ per non morir, come canta Cio Cio San nella Madama Butterfly, ma a furia di sentire la frase, anch’io mi ero convinto che l’Italia fosse tutta in San Marco e che Foggia fosse all’estero. Pare che anche oggi questo pensiero sia molto radicato.
Anche per questo spero che il francobollo faccia un buon viaggio e ci porti ventate di buone notizie e di buoni pensieri, ivi compresa una più corretta comprensione delle fracchie. Considerate a buon diritto uno dei simboli rappresentativi di San Marco, oggi appaiono ancora legate alle realtà religiose a cui sono funzionali. Credo tuttavia sia legittimo chiedersi: in che senso le fracchie rappresentano San Marco? Di quale importante realtà sammarchese oggi le fracchie sono espressione?
La risposta è ancora quella dei nostri padri: le fracchie sono una particolare espressione della fede e della devozione alla Madonna Addolorata. Ora, se fede è, dev’essere gratuita. La fede, infatti, è un rapporto gratuito tra Dio e l’uomo: un reciproco donarsi nella fiducia e nell’amore. Dio diventa il nostro compagno di viaggio, l’Emanuele; l’uomo con la sua vita dichiara che solo Dio è grande, da lui riceviamo tutto quel che possediamo e tutto quello per cui noi siamo quel che siamo. Da Lui tutto abbiamo ricevuto e a Lui tutto dobbiamo donare. Se la fracchia è espressione di fede, è un dono.
Tra il pellegrinaggio e la fracchia esiste uno stretto rapporto. Anche la processione delle fracchie è un pellegrinaggio. Del resto nella tradizione sammarchese le fracchie sono interpretate come le fiaccole che accompagnavano la Vergine nell’affannosa ricerca di Gesù dopo l’arresto avvenuto nell’Orto degli Ulivi. I pellegrinaggi, come la processione delle fracchie, sono un vagare per i campi, per agros, alla ricerca di Gesù. Per alcuni di noi Gesù già fa parte della vita.
Il pellegrinaggio ci consente di identificarlo meglio, di vivere insieme a lui le virtù della tenacia nel cammino, della condivisione e della carità con i nostri compagni di viaggio, la virtù della sobrietà. Egli sostiene la tensione verso le cose buone della vita nonostante le asperità dell’esistenza.
Chi ancora non lo conosce e si mette in camino, in qualche maniera lo ha già trovato, proprio come ricorda S. Agostino non mi avresti cercato, se non mi avessi già trovato. Questa nostra città è cresciuta con i pellegrini, che percorrono questa valle da oltre 1500 anni. Fino al 1960, la maggior parte di essi arrivava a piedi, con i traini, alcuni anche in camion, soprattutto dai luoghi del Subappennino, dal Molise e dall’Abruzzo, dal Sannio, dalla Basilicata e dalla Terra di Bari. Oggi ci sono i pullman che li rendono meno visibili. Il fenomeno di P. Pio, inoltre, ha cambiato radicalmente il modo di far pellegrinaggio. Attualmente i pellegrini vengono da tutto il mondo. A S. Matteo arrivano comitive anche dall’Ungheria, dall’isola di Tahiti, dalla Russia, dal Giappone, oltre alle numerosissime provenienti da tutta Italia e da diversi paesi europei.
Il pellegrinaggio a piedi, tuttavia, nonostante la modernità, anche se fortemente ridimensionato, dura imperterrito. Anzi, in questi ultimi anni è in netta ripresa. Fin verso il 1980 le comitive a piedi erano fortemente in calo. Alcune erano scomparse; altre erano composte da poche persone anziane. Poi ci fu la lenta ma continua ripresa. Le comitive abruzzesi sono in crescita, sono aumentati i giovani. Il loro percorso a piedi ora inizia a Stignano.
Arrivano in torpedone; da Stignano comincia il pellegrinaggio a piedi attraverso S. Matteo, S. Giovanni Rotondo, Monte S. Angelo. Poi scendono a Manfredonia da dove proseguono, sempre a piedi, fino alla tomba di S. Nicola a Bari. Del pellegrinaggio sammarchese sapete tutto. Meno si sa, invece delle molte piccole comitive e pellegrini isolati che arrivano dai posti più impensati d’Europa diretti ai santuari garganici e frequentemente anche alla Terra Santa. A quelli che arrivano al nostro santuario, diamo ospitalità gratuita.
Gli abruzzesi dormono sugli stuoini nei corridoi e la mattina alle 4,00 sono già in viaggio. Le comitive che vengono dall’estero in genere si fermano qualche giorno per riposarsi. Quasi nessuno di essi porta con sé mezzi di sussistenza, abbandonandosi interamente a Dio che provvede sempre per mezzo dei suoi fedeli. Qualche anno fa un nutrito gruppo di giovanissimi spagnoli di oltre venti persone ha fatto a piedi l’intero percorso da Roma a San Giovanni Rotondo.
Quando arrivarono a S. Matteo avevano solo una busta di circa un chilogrammo di mozzarelle, dono di un parroco di S. Severo, e circa 6 chili di mele. A volte si tratta di persone che dispongono di risorse, ma anch’esse si abbandonano alla provvidenza sperimentando il disagio, la povertà, la dipendenza. Così un pellegrino spagnolo diretto in Terra Santa.
Una signora francese di Versailles, è rimasta con noi per tre giorni e poi ha proseguito per gli altri santuari garganici e la Terra Santa. Era gravemente malata; l’abbiamo seguita fin quando, arrivata ad Antiochia sull’Oronte, è entrata in Siria, ospite dei conventi nostri della Terra Santa.
Dovete sapere che questo tratto finale della Via Francigena è l’unico in Italia ad essere stato sempre vivo e attivo dal tempo delle apparizioni di S. Michele fino ad oggi. Mentre i fasci stradali che attraversano con questo nome l’Italia settentrionale fino a Roma erano perfetti ruderi definitivamente consegnati alla storia, questo nostro tratto in 1500 anni non ha mai smesso di condurre pellegrini. Nonostante il suopedigree, qualcuno afferma di averla scoperta lui nel secondo decennio del secolo 21°, comunicando in pari tempo la ferma volontà di vivificarla. E così la povera strada, che prima tutti seguivano senza mai parlarne, oggi è diventata una star di prima grandezza da studiare, fotografare, blandire, accarezzare. Intorno a lei si nutrono speranze e si fanno progetti. In questi progetti sono assenti i pellegrini di cui sopra, come sono assenti i santuari ed è assente la fede, che è l’anima dei pellegrinaggi.
Se vi fa piacere, in questi progetti la città di San Marco in Lamis e il Santuario di San Matteo sono spariti, fagocitati in un progetto di percorso, fantasioso e antistorico che non ha assolutamente nulla a che fare con i pellegrini. Che ci fossero dei ladri a san Marco lo sapevamo da molto, ma che ci rubassero anche le strade, non ci eravamo ancora arrivati.
P. Mario Villani